Il pianto del neonato o del lattante è il modo principale con cui i più piccoli comunicano ed esprimono bisogni e necessità. Si tratta di un comportamento, quindi, e come tale non possiede necessariamente la componente affettiva che esprime dolore, disagio, malessere o sofferenza fisica o psicologica come accade nei bambini più grandi o negli adulti. Tuttavia, la sua forte componente emotiva è in grado di avere una leva importante sui genitori. Il pianto esercita l’effetto di un campanello di allarme, che può essere percepito anche a distanza e che spinge i genitori a concentrare la loro attenzione sul bambino meglio di ogni altro segnale, come per esempio di quelli visivi o di quelli basati sull’olfatto, senso poco sviluppato nella specie umana. Il pianto, peraltro, è prodotto dal coordinamento di alcuni sottili meccanismi che coordinano lo stato di vigilanza, l’attività respiratoria e quella delle corde vocali. Per certi versi, si tratta di un vero esercizio per lo sviluppo successivo della parola e delle funzioni del linguaggio.
Perché i neonati e i lattanti piangono?
Come abbiamo visto, il pianto del neonato non è solo una forma di comunicazione, ma una vera e propria sequenza di comportamenti che si attivano per cercare di ottenere dei risultati in risposta e delle necessità. Il neonato non è in grado ovviamente di verbalizzare le proprie necessità quindi, quando sente il bisogno di comunicare, richiama l’attenzione piangendo. Si tratti quindi di fame, ricerca di attenzione o contatto fisico, dolore, sonno, caldo o freddo, fastidio come quello avvertito quando il pannolino è sporco, il pianto è un mezzo efficace per richiedere assistenza. I neonati inoltre riescono a respirare solo con il naso, poiché per loro la respirazione con la bocca è molto difficoltosa. Quando il naso è chiuso, come per esempio per un raffreddore, il pianto può essere un buon modo per far entrare più aria nelle vie aeree aiutando il piccolo a respirare con minore difficoltà. Il pianto stesso della nascita è il modo più efficace che il bambino ha per espandere i polmoni e iniziare la respirazione.Si può interpretare il pianto del neonato?
Il pianto è una forma di comunicazione non verbale, pertanto, cercare di capirne la causa non è semplice. Se il neonato cerca di soddisfare un bisogno, è probabile che il pianto aumenti via via di intensità e di insistenza. Dunque, quando il piccolo ottiene ciò che vuole, sia attenzione, cibo o contatto fisico, tende a tranquillizzarsi. Dopo qualche settimana di vita, tuttavia, possono comparire episodi di pianto difficilmente consolabili, spesso notturni e che possono durare anche a lungo nonostante non esistano apparenti necessità da soddisfare. Queste crisi di pianto vengono definite come coliche del neonato o del lattante. Non è chiaro quale sia la causa, ma essendo spesso accompagnate da emissioni di gas o feci, dopo un apparente sforzo, si suppone siano dovute a spasmi dolorosi dell’intestino.Pianto del neonato: quando preoccuparsi?
Come abbiamo visto, il pianto del neonato è un fenomeno fisiologico e necessario per la corretta creazione di una relazione genitore-figlio e per lo sviluppo neurologico del bambino. A volte, tuttavia, il pianto del neonato può nascondere un segnale d’allarme. È difficile definire le caratteristiche del pianto del bambino malato: spesso è un pianto a più alta frequenza, molto più continuo e lamentoso, accompagnato da una costante irritabilità e allo stesso tempo caratterizzato dall’incapacità di consolarlo, o al contrario da una sonnolenza eccessiva con un pigolio più o meno costante.
Tuttavia, i genitori, dal momento che sono in costante contatto con il bambino, spesso sono bravi ad accorgersi di cambiamenti significativi nel modo di piangere del proprio piccolo: in caso di dubbio, è comunque bene consultare il proprio pediatra.
Fonti
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